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Counseling psico-corporeo: i messaggi del corpo

“Il corpo va ascoltato. Più non lo ascolti, più lui alza la voce.”

Giorgia Mauloni

Noi siamo il nostro corpo: una verità assoluta nella sua semplicità. Eppure, ci siamo mai domandati cosa sia il corpo e che rapporto ci sia tra la nostra dimensione fisica e la nostra vita?

Lo scrittore Tiziano Scarpa definisce il corpo come “il più inesplorato degli universi portatili”.

Indossiamo la nostra pelle da sempre, eppure conosciamo il nostro corpo in minima parte, lo trascuriamo o non riusciamo ad avere un dialogo con lui, anche perché, spesso, lo rifiutiamo. La percezione stessa che abbiamo del nostro corpo, infatti, varia a seconda delle convinzioni che costruiamo su di esso, partendo da ciò che ci hanno insegnato, da ciò che desideriamo e dall’immagine che gli altri ci trasmettono di noi.

Lo sguardo che rivolgiamo a noi stessi è quindi non veritiero e in continuo mutamento. Eppure il nostro corpo parla di noi, spesso prende la parola al posto nostro e comunica con un linguaggio tutto suo. E, soprattutto, il nostro corpo cerca continuamente di parlare con noi, attraverso il sintomo.

Quando non diamo ascolto alle emozioni che proviamo, quando ci costringiamo in esistenze che non ci appartengono, pur di soddisfare le aspettative su di noi, ecco che arriva il malessere: il corpo lancia segnali che siamo chiamati a interpretare e risolvere. Ma siamo distratti, proiettati nella corsa verso un ideale di bellezza che, ancora una volta, ci viene proposto dall’esterno.

Viviamo in una società di contrasti: se da un lato assistiamo al diffondersi della body positivity, che si propone di promuovere l’accettazione e l’amore per la propria fisicità, dall’altro è ancora troppo diffusa l’idea che un corpo piacevole debba necessariamente corrispondere a canoni perfezionistici di magrezza e giovinezza, veicolati dai media e dai social.

In questa discrepanza si insinua la grassofobia, la paura del grasso, proprio o altrui, che spinge al pregiudizio, alla discriminazione e apre lo scenario dei disturbi del comportamento alimentare, soprattutto considerando il grande aumento dei casi di obesità. La nostra è un’epoca di paradossi. Se da un lato cerchiamo disperatamente di corrispondere agli ideali di perfezionismo, dall’altro vorremmo essere accettati per quello che siamo, e in questa altalena continua tra i nostri bisogni, perdiamo di vista noi stessi.

E il nostro corpo è costretto ad urlare per farsi ascoltare.

Counseling psico-corporeo:  i messaggi del corpo

Indice dell’articolo

Le emozioni comunicano attraverso il corpo

“Se guardi in cielo e fissi una stella, se senti dei brividi sotto la pelle, non coprirti, non cercare calore, non è freddo, ma è solo amore.”

Khalil Gibran

Quante volte ti sarà capitato di avere un nodo alla gola, le farfalle nello stomaco, le gambe che tremano, un senso di vuoto nel petto? È il tuo corpo che ti sta parlando dell’emozione che provi. 

Ciò che avverti a livello fisico, è un chiaro segnale di ciò che stai sperimentando a livello profondo. Le emozioni, infatti, sono la risposta a uno stimolo interno o esterno, che coinvolge diverse sfere: cognitiva, comportamentale, espressiva e fisiologica.

Ogni volta che proviamo una emozione, si crea in noi un accumulo energetico che deve essere liberato. In altre parole, l’emozione è un tipo di energia al quale bisogna dare direzione, movimento e azione, indipendentemente dalla sua origine, perché ciò che più conta è proprio il modo in cui noi utilizziamo questa energia.

Si comprende bene, dunque, l’importanza di imparare a considerare il corpo come un messaggero delle emozioni, per poterle riconoscere, ascoltarne il messaggio per poi utilizzarne in modo opportuno l’energia. Purtroppo impariamo molto presto a reprimere le emozioni.

Ho perso il conto delle volte in cui ho ascoltato un genitore dire al proprio figlio che “non si piange”, in seguito a una caduta o a una lite con un amico. O quante volte ho sentito dire che “i maschi non possono avere paura” e le bambine “non devono essere troppo curiose”.

Da adulti possiamo adottare diverse strategie per continuare a reprimere le emozioni:

  • Negazione (non riconoscere il sentimento)
  • Razionalizzazione (dissociare)
  • Banalizzazione (sminuire)
  • Pensiero forzatamente positivo (un insieme delle precedenti)
  • Resistenza (non accettare)

Quando le emozioni non vengono ascoltate, si trasformano in energia dannosa e tossica. È stato dimostrato che ogni emozione può essere associata a sensazioni corporee che riguardano specifiche aree del corpo. Un gruppo di ricercatori finlandesi, in seguito ad una approfondita ricerca, ha tracciato una mappa universale delle emozioni, in funzione del tipo di attivazione corporea percepita, con corrispondenti cambiamenti fisiologici:

  • Rabbia: le sensazioni più intense sono concentrate nella parte alta del tronco e nelle mani.
  • Paura: viene percepita la maggiore energia attivante al centro del petto, mentre gli arti inferiori e superiori sono inattivi.
  • Disgusto: si osserva una concentrazione di sensazioni a livello del sistema digestivo e della gola.
  • Felicità: lo stato di attivazione è molto intenso e coinvolge tutto il corpo.
  • Tristezza: in questo caso, è stata riportata una sensazione di ridotta attività in tutto il corpo, soprattutto negli arti.
  • Sorpresa: l’energia attivante è percepita a livello del petto e della mente.
  • Ansia: si assiste a una sensazione di torpore negli arti e di grande attivazione nel petto. 
  • Amore: grande energia nella parte alta del corpo, fino al bacino.
  • Disprezzo: la zona maggiormente interessata è la testa.
  • Orgoglio: le sensazioni attivanti sono concentrate nella zona del petto e della testa.
  • Vergogna: attiva il corpo a livello delle guance.
  • Invidia: il centro di attivazione è il volto, con un leggero coinvolgimento del petto.

Questa mappa risulta di notevole aiuto, perché permette di assegnare un nome allo stato emotivo che proviamo, partendo dalla sensazione corporea percepita, rendendoci più consapevoli di ciò che ci accade e maggiormente in grado di far fronte alla situazione. In modo da incominciare a non reprimere l’emozione, ma, invece, darle un nome, un posto preciso nel nostro corpo, per accoglierla ed elaborarla.

Il messaggio del sintomo

Le emozioni ci modellano, condizionano la nostra vita, a partire dal nostro corpo. Neuroscienziati, psicologi e fisiologi hanno trascorso gli ultimi decenni a studiare e a cercare di dimostrare i profondi effetti che le emozioni hanno sui nostri pensieri e sulle nostre azioni, ma anche sulla salute, sul benessere nel suo complesso.

Di recente, gli scienziati hanno dimostrato che nel corpo vengono archiviati blocchi emotivi, i quali vengono persino tramandati a figli e nipoti. Per questo è fondamentale ascoltare il sintomo, comprenderne il messaggio per scongelare il blocco. Le emozioni irrisolte si ritorcono contro di noi e danneggiano il nostro corpo fisico.

“Ho bussato alla porta della tua anima, ma tu l’hai tenuta chiusa; ti ho gridato nelle orecchie, ma tu sei rimasto sordo; allora sono rimasta in silenzio e mi sono cristallizzata in fondo alla tua coscienza e dopo qualche tempo, per farmi finalmente ascoltare, mi sono trasformata in malattia. Ero la tua possibilità di cambiare”.

Siamo chiamati a comprendere le nostre emozioni profonde, che ci parlano attraverso il corpo, coglierne il messaggio attraverso il sintomo, per sciogliere il nodo che ci attanaglia ed evolvere.

È possibile effettuare una divisione tra i vari organi e il loro significato a livello simbolico, per orientarci nel linguaggio del sintomo.

  • Un disturbo a livello degli apparati digerente e respiratorio è collegato all’aspetto relazionale con le figure di accudimento, a ciò che abbiamo o non abbiamo digerito e respirato nel contesto familiare.
  • Quando viene interessato il sistema immunitario, la pelle o la sfera sessuale la problematica è legata al senso della propria identità, alla percezione di un pericolo esterno che la minaccia, alla difficoltà di discernere e scegliere ciò che è meglio per sé.
  • Quando è coinvolto l’apparato osseo-articolare e cardiaco, la persona potrebbe non sentirsi in grado di realizzarsi, c’è una sfiducia di fondo nelle possibilità di raggiungere gli obiettivi, a causa dell’ambiente esterno o per un senso di incapacità. Frustrazione e senso di impotenza diventano contratture e dolori muscolari.

È necessario riconoscere il disagio, ascoltare il sintomo e coglierne il senso nella nostra storia personale. Sei pronto a dare voce alle emozioni che hai represso?

Disturbi alimentari

Senza alcuna pretesa di trattare in modo esaustivo un argomento così delicato e vasto, ritengo sia importante parlare dei principali disturbi connessi all’alimentazione.

Perché la conoscenza, sebbene sommaria, di un problema spinge a cercarne le cause e ad attivarsi sulle possibili soluzioni, magari con l’aiuto di un esperto; e perché avere cura del nostro corpo ci permette di curare l’anima ferita. 

Un elemento centrale e comune a tutti i disturbi alimentari è il concetto di controllo, sia che lo si cerchi, sia che lo si perda. 

Il bisogno di dare contorni precisi al proprio mondo, di dettare le proprie regole, di sentirsi in qualche modo padroni della propria vita, spinge l’individuo che non può controllare l’ambiente in cui vive a controllare il proprio peso.

Chi non riesce a sentirsi all’altezza delle situazioni o soffre per una scarsa comprensione di sé e dei propri bisogni, può trovare nei disturbi alimentari una salvezza apparente. Purtroppo il prezzo da pagare per questo controllo è altissimo e ciò che pensavi ti facesse stare meglio, in realtà ti trascina sempre più in basso, e, in alcuni casi, fino ad un punto di non ritorno.

Che si tratti di anoressia, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata, o le forme meno conosciute come la vigoressia (ossessione per il corpo muscoloso) e l’ortoressia (disturbo caratterizzato dalla fissazione nella scelta esclusiva di cibo considerato sano, con corrispondenti comportamenti maniacali nell’organizzazione della propria dieta), chi ne soffre sta esprimendo un grandissimo disagio, di cui, spesso, non è consapevole.

È un grido di dolore, una richiesta di aiuto che non trova voce, se non attraverso il corpo. Curare un disturbo alimentare è difficile e impegnativo, ci vuole tempo, l’aiuto dei giusti professionisti e coraggio. Ma si può guarire. Se ti riconosci in questi bisogni, se conosci qualcuno che sta attraversando una situazione di questo tipo, non esitare, cerca una mano da stringere per uscirne, chiedi aiuto!

Una storia vera

Anni fa, si presentò nel mio studio una donna disperata. Non era lì per sé stessa, ma per suo figlio, Giacomo, 10 anni, che non riusciva più ad alimentarsi e aveva perso 5 kg nell’ultimo mese. Giacomo non rifiutava il cibo: non riusciva ad ingoiarlo. Per quanto si sforzasse di masticare e masticare, anche piccolissimi bocconi del suo pasto preferito, non riusciva a farlo scendere giù dalla gola. Dopo aver escluso qualsiasi problema di natura organica e fisica, abbiamo dato voce al suo sintomo. 

Il malessere di Giacomo nasceva in famiglia. Con un padre quasi del tutto assente e una madre iperprotettiva e troppo condiscendente, era cresciuto senza quei limiti e quelle regole che gli avrebbero permesso di sperimentare sé stesso in sicurezza, per costruire in modo graduale e sicuro una autostima e una fiducia in sé, che lo avrebbero portato alla formazione di una identità armoniosa ed equilibrata.

Frequentava la quinta classe della scuola primaria e, in quel contesto, non riusciva a far fronte agli impegni richiesti, non essendo abituato a farlo. Il sintomo parlava chiaramente delle sue difficoltà.

Giacomo non riusciva ad alimentarsi perché le relazioni che stava vivendo, quelle alla base del suo mondo, non lo stavano nutrendo, ma lo stavano soffocando.

Mentre con Giacomo esploravo il complesso mondo delle sue emozioni, con sua madre ho affrontato la radice del problema: uno stile educativo che non soltanto stava impedendo a suo figlio di crescere con una sana fiducia in sé stesso, ma lo stava facendo ammalare.

Abbiamo ascoltato subito il sintomo, senza evitarlo. Ho accompagnato Giacomo a riconoscere il proprio bisogno, entrando nel suo cuore di bambino, e a gestire le nuove e sane emozioni che nascevano dal cambiamento in atto nella sua vita. Fino a incontrarlo, pochi mesi dopo, mentre mangiava un hot dog con il sorriso più bello del mondo.

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