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La solitudine

Counseling per la cura di sé

“Paradossalmente, la capacità di stare soli è la condizione prima per la capacità di amare”

Erich Fromm

Ti sarà capitato di voler stare da solo, di provare, cioè, il bisogno di isolarti momentaneamente dal contesto sociale in cui vivi, per ritagliarti momenti di silenzio e riflessione, per riposare la mente e il cuore dal continuo correre quotidiano.

E, sicuramente, ti sarà successo di sentirti solo: quando, anche in mezzo a mille persone, provi un senso di vuoto, di estraniamento e ti senti perso.

Questi due stati sono espressi benissimo nelle parole inglesi: solitude e loneliness.

Il primo termine esprime un vissuto di serenità, la scelta di riappropriarsi della esclusività di sé stessi.

Il secondo, invece, riferisce un disagio misto a sofferenza, un sentirsi esclusi, abbandonati. La solitudine come scelta sembra sempre di più un paradosso in una società che ci chiede di rimanere collegati di continuo, connessi gli uni agli altri da reti invisibili, in un contesto in cui la popolarità e il divertimento a ogni costo sono linee guida per una vita soddisfacente.

Ma è davvero così?

La solitudine è una nemica da combattere?

Se prendiamo il significato della parola solitudine e la sua etimologia, possiamo notare che deriva dal latino solus (solo), che ha una radice in comune con sollus (intero, completo), salvus (salvo, sano, non ferito) e solidus (solido).

Viene da sé, dunque, che il significato negativo di “separazione e distacco dagli altri” che oggi gli attribuiamo, non è insito nella sua origine. Allora cos’è la solitudine?

Indice articolo

La paura della solitudine

Quello che probabilmente ci provoca malessere, quando ci sentiamo da soli, è sentirci denudati, esposti alla possibilità di affrontare noi stessi e la nostra vita, che non è quella desiderata. La solitudine ci fa vedere le nostre mancanze, le ferite antiche, i fallimenti, le assenze che non siamo riusciti ad elaborare e a colmare, ci mette di fronte alle nostre paure. Sperimentiamo un grande vuoto, un malessere che vogliamo evitare in ogni modo e ci costringe a fare qualsiasi cosa pur di non sentirci così: soli.

Succede quando non ci sentiamo compresi, apprezzati, visti davvero; quando ci apriamo alla fiducia e viene calpestata, quando crediamo di aver trovato il nostro posto nel mondo e ci viene sottratto. Allora dobbiamo fare i conti con la paura di non farcela, con lo smarrimento e con un grande senso di sconfitta.

Questo malessere chiede di essere ascoltato. 

Perché la solitudine, con il suo carico emotivo, è un sentimento naturale, che ci chiama ad evolvere.

Anni fa, nel counseling, ho conosciuto Andrea, 22 anni. Si era rivolto a me perché soffriva molto: i suoi amici storici, compagni di scuola, si erano trasferiti altrove per continuare gli studi e lui “era rimasto solo”.

Stava cercando di entrare in una nuova cerchia di amicizie, ma, per quanti tentativi facesse per inserirsi, non veniva integrato. Le strategie che metteva in atto per risultare simpatico e farsi accettare, erano per lo più compiacenti: non esprimeva pareri in disaccordo con gli altri, acconsentiva a qualsiasi cosa decidessero di organizzare, si adeguava di continuo alle richieste del gruppo. Aveva persino incominciato a fumare, soltanto perché “lo facevano tutti”. 

Il problema di Andrea era la paura della solitudine. Quando ha compreso che poteva utilizzare il suo tempo in modo diverso e ha ascoltato il vuoto che sentiva, per conoscersi più a fondo, ha incominciato a essere più assertivo, e a mostrare una maggiore sicurezza in sé stesso. Questo ha permesso ai componenti del gruppo di apprezzare alcune qualità che prima Andrea non sapeva neanche di possedere. La solitudine, da nemica da evitare, si è trasformata in possibilità: ha permesso ad Andrea di crescere.

La sindrome dell’abbandono

Quando il malessere generato dalla paura di rimanere da soli è molto forte, anche in compagnia, può sfociare in ansia da abbandono. 

Non si tratta di un vero e proprio disturbo, ma la sindrome da abbandono intacca negativamente la qualità della vita di chi ne soffre e delle relazioni che instaura.

È un’ansia continua, un costante terrore di essere abbandonati che non permette di creare un rapporto di fiducia con l’altro. Questo tipo di paura deriva normalmente da un evento vissuto durante l’infanzia, da esperienze traumatiche che danneggiano il bisogno di autonomia-indipendenza. 

In età adulta, la parte bambina che ha subíto un lutto, una separazione importante, o è stata trascurata emotivamente, continuerà a prevalere richiedendo rassicurazioni e attenzione eccessiva alle persone vicine. La convinzione di base è quella di non essere in grado di prendersi cura di sé da soli, motivo per il quale si ha un attaccamento esasperato all’altro e il conseguente terrore che possa andare via, abbandonarci, morire e che la relazione possa finire, facendoci sprofondare nella solitudine.

In questi casi la paura della solitudine assume i connotati di una vera e propria angoscia, che porta chi ne soffre ad attuare comportamenti disfunzionali come:

  • Controllo continuo
  • Ricatti morali
  • Manipolazione
  • Gelosia eccessiva
  • Desiderio di possesso

In alcuni casi la paura dell’abbandono si manifesta nella incapacità di mettere fine a relazioni dannose, tossiche, ma percepite come indispensabili per non sentirsi soli.

Come affrontare la sindrome dell’abbandono?

  • Innanzi tutto rendendosi consapevoli della propria ansia: comprendere che il terrore di essere abbandonati ci condiziona è il primo passo per elaborarlo. 
  • È necessario accrescere la propria autonomia: focalizzare le risorse e agirle per migliorare la qualità della vita.
  • Imparare ad accogliere piccoli momenti di solitudine, per dedicarsi a sé stessi.
  • Non annullarsi per compiacere l’altro, ma tenere viva la relazione in uno scambio che sia autentico e reciproco.
  • Individuare i pensieri disfunzionali su ciò che può accadere nel futuro, concentrandosi nel qui e ora.
  • Coltivare i propri talenti, gli hobby e ciò che ci piace fare, per accrescere l’autostima.
  • Imparare a volersi bene, sapendo di poter contare su sé stessi.

La compagnia di sé stessi

Essere soli, dunque, non significa che ci manchi qualcosa. Significa, piuttosto, riappropriarsi del proprio tempo, della spaziosità dei ragionamenti, della autenticità della propria voce. A patto che scegliamo la compagnia di noi stessi.

In questo modo, la solitudine non subíta, diventa pienezza, uno stato di tranquillità e calma.

Se ti senti solo, probabilmente stai esprimendo il tuo bisogno di tornare a te stesso. 

Per ascoltarti.

Per riconoscerti.

Per imparare a fidarti di te.

Per riconnetterti alla tua parte più autentica e profonda.

Per far pace con le mancanze, colmare le assenze e ritrovarti intero.

Allora, quando si affaccia il senso della solitudine, sospendi ogni giudizio. Datti il permesso di osservarlo per quello che è, con il suo carico emotivo. E poi domandati dove ti porta. Probabilmente ti ritroverai a prendere per mano il bambino che eri, lasciato solo troppo a lungo. Gli parlerai di te, della Persona che sei diventato, di ciò che hai superato e dei sogni che vuoi realizzare. Lo guarderai con amore e, a partire da quello sguardo, sentirai una grande consapevolezza fiorirti dentro: tu ti appartieni e sei in compagnia di te stesso.

Ora, puoi trasformare la solitudine in una grande occasione per imparare ad amarti.

Questo articolo ha un commento

  1. Fabio Mancini

    È molto profondo ciò che dici sulla solitudine.
    Inoltre, apprezzo la qualità della tua scrittura.
    Ho letto “Le parole che cambiano”.
    Sei anche una brava poetessa. (Chissà quante poesie hai scritto e custodito in fondo al tuo cassetto segreto. Sono le poesie del cuore, quelle scritte intingendo la punta del pennino nel calamaio del costato che hanno svelato la Margherita inedita, quella più autentica e presente nella tua Vita).
    Un sorriso alla donna che sei e un abbraccio alla donna che sarai. 🌹

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