
“Questo ti auguro, ragazzo mio: che tu possa trovarti nel mezzo di una tormenta e non metterti al riparo; accogliere il tuo cuore in tutte le sue espressioni; fare il pazzo ogni tanto e vivere. Soprattutto e sempre, VIVERE.“
— Margherita Roncone
Viviamo in una società che cambia rapidamente.
Le famiglie si trasformano, le strutture tradizionali si frammentano e le relazioni si fanno più liquide, incerte, a volte evanescenti.
In questo scenario sono i nostri ragazzi a trovarsi senza bussola, immersi in una solitudine silenziosa e sottovalutata, che non è soltanto assenza di relazioni che nutrano, ma mancanza di punti di riferimento. È una solitudine che pesa, che si annida nella quotidianità e che raramente trova ascolto.
Dietro sorrisi forzati, atteggiamenti distaccati, post e immagini sui social media curati fin nei minimi dettagli e un’apparente iper-connessione, si annida una fragilità emotiva profonda, taciuta per paura di mostrarsi diversi, deboli.
Come counselor, ascolto spesso le eco di questa solitudine nelle parole dei giovani: la sensazione di non essere compresi, di non trovare un vero spazio di appartenenza, di navigare in un mare di aspettative e confronti che amplificano il senso di inadeguatezza.
Questa solitudine non è una scelta, ma una condizione che si insinua silenziosamente, nutrendo insicurezze e paure. Le conseguenze sono allarmanti: aumento dell’ansia, della depressione, disturbi del sonno, calo dell’autostima e difficoltà nelle relazioni interpersonali, sono solo alcune delle ombre che si allungano sulla vita dei nostri giovani.
Ed è proprio qui che nasce un meccanismo pericoloso: quando un ragazzo si sente solo e fragile, la paura del diverso si fa strada nel suo cuore trasformandosi in rifiuto.
Ciò che non si conosce, ciò che non rientra nel proprio ristretto orizzonte emotivo, ciò che richiama la propria nascosta vulnerabilità, può apparire minaccioso, e, per questo, da rifiutare e combattere.
Il branco allora diventa un’illusoria fortezza in cui l’omologazione fa da scudo e la violenza verso l’estraneo un modo distorto per affermare un’identità precaria.
Indice dell’articolo
La linea sottile tra paura e violenza
Perché la solitudine e la paura della fragilità si trasformano in violenza?
- Pressione sociale e competizione. La società in cui viviamo, con i suoi ritmi frenetici e l’enfasi sulla performance e sull’apparenza, può generare un forte senso di inadeguatezza nei ragazzi. La costante esposizione a modelli idealizzati sui social amplifica questo senso di inferiorità.
- Difficoltà nella comunicazione autentica. La comunicazione virtuale, pur offrendo connessioni superficiali, può ostacolare lo sviluppo di relazioni autentiche e profonde, basate sull’empatia e sulla comprensione reciproca. Parlare apertamente delle proprie fragilità diventa rischioso, espone alla solitudine.
- Paura del giudizio. Il timore di essere etichettati, esclusi o derisi spinge i ragazzi a nascondere le proprie vulnerabilità, isolandosi ulteriormente.
- Ricerca di appartenenza. Il bisogno di sentirsi parte di un gruppo è un istinto umano fondamentale. Se questo bisogno non viene soddisfatto in modo sano, il branco può apparire un’alternativa, seppur disfunzionale, in cui trovare accettazione e quel senso di forza che manca nell’individuo e che si trasforma in prevaricazione.
Un approccio empatico e di supporto
Come adulti, genitori, educatori abbiamo un ruolo cruciale nel contrastare queste dinamiche. È fondamentale creare spazi sicuri in cui i ragazzi si sentano ascoltati, compresi e accettati per quello che sono, con le loro fragilità. A cominciare dalle famiglie, perché è proprio quando le radici vacillano che l’identità si fa fragile, frammentata. Sotto la violenza dei branchi si nasconde un dolore muto: la solitudine non sparisce, si maschera soltanto. E più viene negata, più si alimenta il vuoto interiore.
Custodire le radici: adulti che ascoltano, relazioni che nutrono
Cosa possiamo fare?
- Promuovere l’ascolto attivo. Dedichiamo più tempo e attenzione ai ragazzi, ascoltando le loro preoccupazioni senza giudicarli. Incoraggiamoli a esprimere le loro emozioni, anche quelle più difficili.
- Educare all’empatia e al rispetto. Aiutiamoli a comprendere le emozioni degli altri, a mettersi nei loro panni. Insegniamo loro il valore della diversità come ricchezza e non come minaccia.
- Rinforzare l’autostima. Guidiamoli a riconoscere i propri talenti e le proprie qualità, a sviluppare una sana fiducia in sé stessi che non dipenda dall’approvazione esterna.
- Offrire modelli positivi. Mostriamo loro esempi di relazioni sane, basate sul rispetto, sulla collaborazione e sull’accettazione delle differenze.
- Creare opportunità di connessione autentica. Incoraggiamo incontri e attività di gruppo che favoriscano la collaborazione, la condivisione di valori, la costruzione di legami significativi.
- Normalizzare la vulnerabilità. Facciamo capire ai ragazzi che mostrare le proprie fragilità non è un segno di debolezza, ma di autenticità e coraggio. Sveliamo noi per primi, come adulti, le nostre paure e le nostre difficoltà, in modo che loro possano sentirsi liberi di fare altrettanto. Cerchiamo di creare una cultura in cui chiedere aiuto è visto come un atto di forza, di libertà.
Costruire ponti, non muri
La solitudine dei nostri ragazzi è un grido silenzioso che non possiamo ignorare. Trasformare la paura del diverso in apertura e l’odio in comprensione è una sfida che ci riguarda tutti.
Aiutiamo i nostri giovani a costruire ponti invece che muri, a trovare la forza interiore e a scoprire la bellezza di un mondo inclusivo, accogliente, autentico.
Cari ragazzi, siate luce
Voglio concludere questo articolo con una lettera dedicata a loro, i nostri ragazzi.
Cari ragazzi,
non accontentatevi mai.
Di sapere solo ciò che vi viene insegnato, perché il mondo si cela al di là delle nozioni, negli angoli sconfinati della vostra fantasia.
Non rinunciate a voi stessi.
Perché in cambio di un voto, di un consenso, potrebbero imbrigliare i vostri pensieri e soffocare la vostra unicità.
Non tacete, mai.
D’avanti a chi teme il talento e l’audacia, cercando solo di appiattire e conformare; d’avanti a chi fa finta di ascoltare e capire, ma ha già deciso per voi il domani.
Non abbiate paura di scoprire l’universo in voi:
puzzle disordinato e senza confini, meraviglia in divenire.
Esigete attenzione, cura, rispetto.
Per ciò che siete.
Per ciò che fate.
Per le vostre sconfitte.
Per ciò che dite.
Per il vostro tempo.
Per le vostre speranze.
Per i vostri silenzi.
Per i vostri sforzi.
Per i vostri errori.
Per la vostra crescita.
Per ciò che volete diventare.
Andate con fiducia incontro al domani, vi appartiene.
Coloratelo con i colori più belli, quelli che appartengono davvero a voi e riempitelo con le vostre voci, quelle che bisbigliano nell’ anima e chiedono di essere liberate.
E, soprattutto, fate che questo mondo sia un posto migliore da abitare,
che sia “casa” per il vostro cuore autentico.
Margherita Roncone
Se anche tu senti il bisogno di costruire un ponte verso i giovani, di educare all’ascolto, all’empatia e alla libertà interiore, scopri il progetto “Sentire per Crescere”.
Un percorso pensato per scuole e ragazzi, per accendere la consapevolezza, restituire voce all’autenticità e trasformare la vulnerabilità in forza.
Porta questo viaggio nella tua scuola o nella tua comunità.
È tempo di seminare presenza, cura e speranza.