Al momento stai visualizzando La poesia come atto sovversivo

La poesia come atto sovversivo

La mia esperienza a “Chiostri e Inchiostri”

Dal 24 al 27 luglio, il cuore di Noci ha battuto al ritmo intenso e profondo della cultura. “Chiostri e Inchiostri”, giunto alla sua sesta edizione, ha trasformato i chiostri della città in spazi vivi di ascolto, dialogo, incontro.

Quattro serate dense, oltre 150 ospiti tra autori, giornalisti e personalità della cultura italiana, più di 100 eventi tra presentazioni, talk, laboratori e mostre. E tra questi spazi pieni di storie, emozioni e parole, c’ero anch’io.

Portare le mie poesie, tratte da Le parole che curano, in un luogo così profondamente umano, è stato un dono. Non solo per la bellezza dell’evento in sé, ma per ciò che si è creato: un’atmosfera intima, calda, reale.

Un filo invisibile che ha unito chi leggeva e chi ascoltava, chi portava sul palco la propria verità e chi la accoglieva in silenzio.

Insieme a Vincenza D’Onghia, con cui ho avuto il privilegio di dialogare, abbiamo tessuto parole ed emozioni. Le sue riflessioni hanno arricchito il mio sentire con una luce empatica, autentica.

È difficile raccontare con precisione ciò che accade in questi momenti: sono vibrazioni, respiri condivisi, sguardi che si incrociano e riconoscono qualcosa di sé nell’altro.

Mi è stato chiesto: “Qual è il valore della poesia oggi?”
E la risposta, per me, è semplice e radicale: la poesia oggi ha un valore enorme, ma silenzioso. E proprio per questo, è rivoluzionaria.

In un tempo che ci chiede di correre, produrre, semplificare, la poesia rallenta. Non grida, sussurra. E nel farlo, crea uno spazio sacro dove poter sentire davvero.

Non è un linguaggio elitario, ma dell’anima. Non ha bisogno di permessi, di filtri, di approvazioni: nasce ovunque ci sia un cuore che vuole esprimere ciò che non sa dire a parole.

A volte credo che la poesia sia l’ultima frontiera contro l’anestesia emotiva. Perché ci chiede verità, presenza, vulnerabilità. E ci offre qualcosa che nessun algoritmo può dare: connessione.

Quella che si è creata, inaspettata e profondissima, anche durante questo festival.

Scrivere poesie, per me, non è mai stato un esercizio di stile, ma un atto di ascolto. Di me stessa e dell’altro. È permettermi di sentire e poi trovare la forma per dare voce a quel sentire.

Quando qualcuno si riconosce in un verso, quando gli occhi si fanno lucidi, quando un respiro si fa più lento… lì capisco che quel filo invisibile ha funzionato.

Che siamo, ancora, capaci di commuoverci. E quindi, di sentirci vivi.

Chiostri e Inchiostri è stato questo per me: un luogo dove la poesia ha potuto accadere.
Dove la parola ha curato, come sa fare quando è autentica.
Dove la gratitudine è diventata tangibile.
Dove il silenzio tra le parole ha parlato più di ogni discorso.

A chi ha partecipato con cuore aperto, a chi ha condiviso con me quel tempo lento e profondo, a chi ha colto la poesia anche nei non detti, dico: grazie.
Ci siamo riconosciuti, e questo, oggi, è un miracolo.


Vuoi portare con te la potenza trasformativa della poesia?
Scopri “Le parole che curano”, il libro di Margherita Roncone che ha emozionato il pubblico del festival.
👉 Acquistalo ora

Lascia un commento