“Ogni volta che ti trovi di fronte a qualcosa di nuovo, puoi scegliere se vederlo come una prova a cui resistere o una possibilità per iniziare il cambiamento.”
Paula Goodchild
Incomincio questo articolo raccontando una storia. Una storia vera.
Margherita aveva poco più di 23 anni, si stava laureando, aveva una relazione sentimentale serena. La sua era una famiglia che mi piace definire “normalmente disfunzionale”: priva di patologie evidenti, con genitori spinti dalle migliori intenzioni e da un affetto sincero, ma mancante di dialogo, di empatia profonda e di tempo di qualità condiviso, improntata da uno stile autoritario piuttosto rigido.
Un mondo comunque stabile quello di Margherita, dai contorni netti.
All’improvviso sua madre muore in seguito ad un intervento chirurgico e, di lì a pochi mesi suo padre si trasferisce a casa della sua nuova compagna di vita, futura moglie.
Tutto il suo mondo era cambiato. I contorni netti e precisi si erano rotti, lasciando entrare il caos, il dolore, la paura, la solitudine.
Margherita deve interrompere gli studi per cercare un lavoro con cui sostenersi, cambia casa, non ha più abitudini in cui rifugiarsi, figure di riferimento a cui appoggiarsi.
Cosa poteva fare?
Avrebbe potuto piangersi addosso e soccombere al drastico cambiamento della sua vita.
O avrebbe potuto adattarsi alle nuove circostanze, resistendo al caos e assecondando il cambiamento.
C’è una terza strada, ma lei lo avrebbe scoperto molto più tardi. Per scoprire qual è questa strada bisogna porsi una domanda: esiste una differenza tra assecondare il cambiamento e abbracciare il cambiamento, per cavalcarlo?
Quella ragazza ero io e, oggi che ho dato una risposta a quella domanda, voglio accompagnare verso il cambiamento evolutivo chi si affida a me nel percorso di counseling, chi mi segue sui social, chi incrocio lungo le strade del mio cammino.
Indice
Cos’è il cambiamento
Ogni cambiamento è una rottura dell’equilibrio a cui siamo abituati.
Immaginate una barca che naviga in acque tranquille. Voi siete al timone di quella imbarcazione che rappresenta la vostra zona di comfort. D’improvviso le acque si agitano e potreste trovarvi in situazioni che non avete immaginato: dal perdere la rotta navigando in territori sconosciuti, fino al rovesciamento della barca, senza più alcun punto fermo.
I cambiamenti fanno parte della vita, poiché nulla è immutabile e fermo; ci sono piccoli e grandi cambiamenti, che rappresentano sempre nuove fasi: possono essere momenti di transizione o veri e propri passaggi ad un nuovo mondo, lì dove non si può semplicemente ripartire, ma diventa necessario reinventarsi.
Ogni cambiamento è un processo complicato a cui facciamo resistenza pur senza volerlo. Perché?
- Per la paura di ciò che non conosciamo.
- Perché ci sentiamo al sicuro nelle abitudini e nella routine.
- Perché manteniamo un legame emotivo con il passato.
- Perché tendiamo a voler controllare la nostra vita.
- Perché non abbiamo fiducia in noi stessi.
Ci sono vari modi di affrontare un cambiamento: opporre resistenza e lamentarsi, rassegnarsi, accettare, fino ad abbracciare il cambiamento.
Perché possa esserci un cambiamento evolutivo è indispensabile permettere all’incerto, al nuovo, all’imprevisto di entrare dentro di noi, camminare sulle corde tese ma dondolanti dell’essenziale, abbandonando l’idea di una vita circoscritta dalle apparenze, dalle abitudini e dai ruoli prestabiliti.
Non è facile, spaventa spalancare l’orizzonte e aprirsi a tutte le emozioni che arrivano. Per questo credo sia fondamentale chiedere aiuto: una figura competente ed empatica può agevolare questo delicato processo.
Quando ci avviamo al cambiamento evolutivo tutto si trasforma e si colora di nuovo significato.
Il bambino interiore
Perché possa esserci un cambiamento evolutivo è fondamentale riconnettersi con il proprio bambino interiore.
Il bambino interiore è la struttura psicologica più vulnerabile e sensibile del nostro io. È formato dalle esperienze sia positive che negative che viviamo nei primi anni dell’infanzia. Crescendo, dimentichiamo quel piccolo bambino che siamo stati, e che è ancora dentro di noi, con le sue paure, le sue insicurezze e il suo immenso bisogno di essere visto e amato.
Impariamo a tenerlo nascosto sopprimendo e negando i suoi sentimenti, scollegandoci in questo modo dalle nostre stesse emozioni e costringendolo, così, a portare il peso non soltanto dell’antica ferita, ma anche di tutti i nuovi problemi irrisolti.
Per intraprendere il percorso del cambiamento evolutivo, dobbiamo connetterci di nuovo con le emozioni che abbiamo tagliato fuori, raggiungere la nostra parte più profonda per tornare a prendere per mano quel bambino.
Curare il bambino interiore vuol dire innanzitutto riconoscerlo, portarlo fuori dall’angolo buio in cui lo abbiamo rinchiuso, lasciare che ci porti a sentire tutte le emozioni che custodisce e che saranno il nutrimento del nostro cambiamento.
Soltanto accogliendo la sua fragilità, le sue paure e la sua innocenza potremo diventare pienamente noi stessi.
La mia storia
Quando tutto nella mia vita è cambiato, da principio ho semplicemente cercato di sopravvivere. Mi sono trasferita in un’altra casa, ho messo da parte i libri dell’ultimo esame da sostenere prima della laurea, ho cercato un lavoro qualsiasi che mi consentisse di mantenermi.
Ho pianto e mi sono disperata per il vuoto piombato nella mia vita, ma sono andata avanti, un passo alla volta. Poi mi sono sposata, ho creato una famiglia in cui sentirmi al sicuro e ho concluso gli studi, dando il via al mio percorso lavorativo.
Pensavo di essere cresciuta, di essere cambiata, diventando forte.
Ma avevo semplicemente chiuso in un angolo al buio la mia bambina interiore, con tutte le emozioni che provava, per cercare di essere adulta.
Il fatto è che, se il cambiamento non coinvolge il nostro mondo interiore, per quanti sforzi facciamo per adattarci alla realtà, prima o poi dovremo fare i conti con noi stessi, o la nostra sarà sempre e soltanto una mera sopravvivenza. Ma noi non siamo fatti per sopravvivere, il nostro inconscio vuole sentirci vivere e attira circostanze e persone affinché possiamo evolvere.
Fino a quando non ho preso consapevolezza che c’è una grande differenza tra adattarsi al cambiamento e abbracciarlo nel profondo, fino a quando non ho ascoltato la mia bambina interiore, ho continuato ad attrarre situazioni che mi procuravano grande dolore: sono stata tradita più volte e mi sono sentita ancora abbandonata, sola; ho scelto un uomo dai marcati tratti narcisistici e mi sono sentita svilita, non meritevole, inadatta; mi sono fidata delle persone sbagliate e mi sono sentita incompresa, incapace.
Ma ogni volta ho messo a tacere queste emozioni, per andare avanti, per dimostrarmi forte e in grado di sopravvivere.
Fino a quando non è arrivata una bella depressione.
Come si può definire bella una depressione? È un ossimoro. Cosa ci può essere di positivo in una malattia che ti spegne, ti priva dell’entusiasmo, dell’energia e della luce?
Credo che la depressione sia arrivata perché il mio inconscio mi stava obbligando a fermarmi, a stare con me, per smettere di apparire forte e fare spazio alla mia fragilità.
In quei giorni fatti di niente ho dovuto ascoltare me stessa, e la voce che sentivo era quella della bambina impaurita, che si sentiva sola, non meritevole, incompresa, non vista.
L’adulta che ero diventata aveva cercato di adattarsi al cambiamento, ma la mia bambina interiore mi stava chiamando a vivere, accogliendo le mie emozioni, curando le vecchie ferite e abbracciando il cambiamento, per trasformarmi e diventare nuova.
A partire da quella depressione si è avviato un processo che mi ha condotta a me stessa.
Perché il cambiamento evolutivo è questo: un processo più o meno doloroso, sempre faticoso, che non ha a che fare con l’esteriorità o con quanto siamo bravi ad adeguarci al mondo esterno.
Ha a che fare con le nostre emozioni.
Con il bambino interiore e la sua fragilità.
Con il coraggio di reinventarsi ogni giorno, un passo alla volta.
Con l’autenticità del cuore e la libertà di essere sé stessi.
E tu, a che punto sei?