“Amo chi sa perdersi. Sbagliare, cadere, inciampare, osare. Chi sa mettere in gioco sé stesso anche contro tutto e tutti.
E amo ancora di più chi sa ritrovarsi. Chiedere scusa, riscoprire la rotta, focalizzare il proprio centro, ricalibrare la propria direzione.
Chi sa ricominciare con grande umiltà, con nuova consapevolezza e nuovo slancio.
La vita in fondo è tutta qui: un continuo cercare, sbilanciarsi e cadere, per rialzarsi e riprovare, scoprendo sempre qualcosa di nuovo, trovando il senso e un nuovo sorriso”.
Margherita Roncone
Indice
Le fasi della resilienza
Oscar Chapital Colchado definisce la resilienza come la capacità di un individuo di generare fattori biologici, psicologici e sociali che gli permettono di resistere, adattarsi e rafforzarsi a fronte di una situazione di rischio, generando un risultato individuale, sociale e morale.
È, dunque, una capacità che presuppone comportamenti, pensieri e azioni e che può essere appresa da chiunque.
La resilienza si sostanzia in alcune fasi, descritte già negli anni Novanta da Michael Hall.
- L’incontro con l’ostacolo. È quando veniamo messi al tappeto da un evento doloroso, ostile, indesiderato che crea un senso di perdita, disgregazione e stress negativo.
- L’esperienza di perdita, il trauma, il dolore. Qui sentiamo il nostro equilibrio compromesso, non abbiamo più cosa avevamo in precedenza e soffriamo le conseguenze del cambiamento.
- Il processo di confronto. È un dialogo interiore: per poter riemergere abbiamo bisogno di confrontarci con noi stessi, di cogliere i feedback, di capire come possiamo reagire e fare meglio la prossima volta, per poi intraprendere azioni per risollevarci.
- La Rinascita. Finalmente possiamo dire: sono tornato.
Il tempo di questo processo dipende soltanto da noi: dopo aver imparato a cadere, bisogna allenarsi continuamente a rialzarsi sempre più velocemente, a partire dagli inciampi più piccoli e meno destabilizzanti.
Come diventare resilienti
Ciò che possiamo sviluppare per diventare persone resilienti è:
- Un sano ottimismo, cioè la capacità di interpretare gli eventi negativi e i problemi come qualcosa che può succedere, che non è per sempre e che possiamo affrontare.
- Una buona autostima, cioè la fiducia in noi stessi, a prescindere da ciò che stiamo vivendo, dal problema che stiamo affrontando. Per approfondire ti consiglio il mio precedente articolo: strumenti per una sana autostima.
- Capacità di problem solving, ossia saper agire sulla base di un insieme di tecniche e di metodologie necessarie all’analisi di una situazione problematica, per individuare e poi mettere in atto la soluzione migliore.
- Ironia e autoironia, più in generale un sano senso della leggerezza. Questo atteggiamento dipende molto dalla distanza da cui guardiamo le diverse situazioni, non lasciandoci travolgere ed elaborando l’emozione ad esse associata in modo più veloce.
- Empatia, cioè la capacità di porsi in maniera immediata nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona, comprendendola. Questo ci permette di diventare più aperti e flessibili.
Lo sviluppo della resilienza dipende, oltre che dai fattori individuali elencati, da fattori sociali, quindi dal contesto sociale a cui si appartiene. La qualità delle relazioni intessute, sia prima che dopo l’evento traumatico, risulta di fondamentale importanza.
Per costruire relazioni positive e profonde, hai bisogno di avere prima un buon dialogo con te stesso, conoscere il tuo mondo interiore, scoprire il tuo modo di reagire agli eventi e il modo in cui processi le emozioni.
La resilienza è un percorso che parte da noi stessi e coinvolge il mondo in cui ci muoviamo, ci aiuta a cambiare la nostra vita partendo proprio dal nostro dolore, dal trauma che stiamo affrontando, per cogliere lati di noi che altrimenti non avremmo conosciuto, per spingerci a crescere e a evolverci.
La mia storia
Quando ho dovuto elaborare il lutto per la perdita di mia madre, sono stata spinta a scegliere: soccombere al dolore o affrontarlo, cercando di sviluppare una forma di resilienza che non soltanto mi consentisse di reagire, ma di trarre il meglio da tutta quella sofferenza.
C’era però, nel mio processo di elaborazione e di resilienza, un blocco. Tornava prepotentemente nella mia testa un episodio, avvenuto qualche mese prima che mia madre morisse. Avevamo litigato, come spesso capita tra genitori e figli, solo che in quella occasione io ero stata particolarmente veemente: le avevo detto di non amarla e che mai sarei voluta diventare come lei.
Poi è andata via per sempre e mi sono resa conto, con disperazione, che non le avevo mai davvero chiesto scusa per quelle parole che, in realtà, non pensavo. Questo senso di colpa mi tormentava e non mi dava il permesso di andare oltre. Non riuscivo a perdonare me stessa e a lasciar andare ciò che era successo.
Ho dovuto prima “stare con” il mio senso di impotenza, il mio rammarico, la frustrazione e il rimpianto di non poter tornare indietro. Poi ho rivisto me e mia madre nei giorni successivi a quella lite, ho colto la bellezza del nostro stare insieme e ho capito che in realtà le parole non erano state necessarie tra noi.
Ho capito che probabilmente anche lei si sentiva responsabile per quella lite e che eravamo andate oltre, senza il bisogno di dircelo. E ora che sono mamma so che è davvero così. Ho ristrutturato quel ricordo e ho lasciato andare gli inutili sensi di colpa, la rabbia nei miei confronti e tutte le emozioni che mi stavano bloccando.
Mi sono perdonata. E il mio amore per mia madre è diventato più luminoso, più forte, più libero e capace di esprimersi nella mia vita presente, a partire da un nuovo amore per me stessa.
È questo che fa la resilienza. Ti rende capace di affrontare il dolore trasformandolo in opportunità. Per poterlo fare hai bisogno di essere flessibile e comprensivo, lasciando andare ciò che ti blocca e perdonando te stesso.
Perdonarsi significa lasciar elaborare il carico emotivo, togliersi la zavorra del passato dalle spalle, accogliere ciò che è stato trovandone il senso e poi liberarsene. A cosa serve continuare a portare addosso i pesi di ciò che è accaduto e che non possiamo cambiare?
Ciò che possiamo cambiare è il nostro atteggiamento nei confronti di ciò che è accaduto, curare le ferite liberandoci dalle catene.
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