Indice dell’articolo
- Ascolta il disagio
- Il disagio contagiato
- Riconosci il disagio e aspetta
- La via della gratitudine: incamminati verso la felicità
Ascolta il disagio
Domenico aveva 12 anni. Indossava una tuta leggera e scarpe da ginnastica, stava prendendo un cappellino con la visiera dall’armadio in camera. Si era alzato molto presto quella mattina, dopo aver dormito pochissimo: era eccitato per la sua prima gita scolastica. Sarebbe stato fuori tutto il giorno e la sua mamma gli stava preparando dei panini, in cucina. La voce gentile di lei lo aveva raggiunto in camera: “Domi sei pronto? Rischi di fare tardi!”
Mentre prendeva lo zaino, Domenico aveva sentito un tonfo. Pesante, strano. Poi la voce di suo padre che chiamava: “Maria! Maria!”
Era andato in cucina e aveva visto sua madre per terra. Non c’era stato più niente da fare.
È venuto in counseling da me a 24 anni, un giovane uomo con gli occhi di un bambino. Era in crisi perché non sapeva cosa fare: lavorava come cameriere nell’azienda di famiglia ormai da qualche tempo e gli era stato proposto di diventarne socio, con un aumento di responsabilità, mansioni più importanti, un riscontro economico notevole e la possibilità di fare nuove esperienze per far crescere la società. La proposta era ferma da mesi, perché Domenico era bloccato.
Durante i nostri incontri è emersa la stessa difficoltà nelle relazioni affettive: conosceva una ragazza che gli piaceva e, dopo i primi appuntamenti, quando tra loro stava per nascere qualcosa, ecco che si tirava indietro, bloccandosi.
Domenico non riusciva a viaggiare, ad andare a ballare con gli amici, ad aprirsi a nuove possibilità.
Era fermo a quella mattina, quando, senza volerlo, senza neanche saperlo, aveva scelto di non affrontare il trauma.
Il dolore taciuto, la ferita nascosta, gli stavano impedendo di vivere.
Tutto ciò che non accettiamo si cristallizza dentro di noi, trasformandosi in pietra. Camminiamo, respiriamo, affrontiamo le nostre giornate con questi macigni nel petto, che, prima o poi, diventano talmente ingombranti da non poter essere più ignorati.
Il disagio va ascoltato. Domenico era soltanto un bambino e non ha avuto l’appoggio necessario per affrontare il lutto. Suo padre stava combattendo contro il suo stesso dolore e magari ha pensato di proteggerlo, cercando di evitare il problema. Ma in questo modo il disagio si è radicato nell’anima di Domenico, un fardello diventato sempre più grande e pesante.
Il disagio contagiato
Francesca è una donna di 35 anni, un’imprenditrice di successo, con una eleganza innata nei modi e nel portamento. Quando la incontro nel counseling per la prima volta, mi colpisce il suo sguardo spento, vuoto. Mi racconta di avere una relazione con Giulio da tre anni e che per lui ha lasciato suo marito. Quando le domando cosa l’abbia portata a innamorarsi di lui, mi risponde che era gentile, premuroso, la faceva sentire speciale, a differenza del suo ex, che pensava soltanto al lavoro e la lasciava spesso da sola, trascurandola.
Eppure, continua, sin dai primi momenti della convivenza è diventato un altro: nervoso, irascibile, giudicante. Si sentiva destabilizzata da questo cambiamento così repentino e senza apparente motivo, e cercava di coglierne le ragioni in sé stessa, nel suo comportamento.
Francesca era la donna trofeo che Giulio era riuscito a strappare all’avversario, un giocattolo di cui si è stancato presto. La vita insieme si era trasformata in un inferno quotidiano, in cui lei si sentiva costantemente in allerta, addossandosi ogni motivo di dissapore e incomprensione.
Quando aveva lasciato suo marito, aveva fatto una scelta importante e si era ripromessa di mettercela tutta per far funzionare le cose, anche perché, mi dice, Giulio era davvero meraviglioso e lei voleva renderlo felice. Così si è trasformata nella sua ombra, ha cercato di compiacerlo in tutto, spegnendo la sua luce. Neanche il sesso ormai tra loro funziona più, perché Francesca sente di non essere mai abbastanza, di deluderlo continuamente.
Quando arriva un disagio, è importante guardarlo da un punto di vista esterno: spesso la causa non siamo noi, ma qualcuno che ci sta contagiando.
Francesca si percepiva come l’unica responsabile del malessere che stava vivendo, si colpevolizzava sentendosi sbagliata. Stava guardando in un’unica direzione, non riuscendo a cogliere i segnali che arrivavano da Giulio e da una relazione malata. Chi vive accanto a noi può potenziarci, permettendoci di brillare sempre di più, aiutandoci a realizzare la nostra unicità, oppure può portarci lontano da noi stessi, verso il disorientamento, il vuoto.
Francesca ha dovuto indagare sulle convinzioni che si sono cristallizzate nel suo passato e sull’idea che aveva in mente di una relazione perfetta, rinforzato dall’iniziale atteggiamento di Giulio, quando le diceva: “Sei la donna dei miei sogni, l’unica; ti ho aspettato da sempre e ti amerò per sempre”. Il film che si proiettava Francesca nella testa, le impediva di vedere che lui era la causa dei suoi mali, nessun altro.
Riconosci il disagio e aspetta
Domenico era bloccato in ogni respiro da un enorme macigno di dolore. Francesca si era avviluppata in una pesante coperta di fallimento e sensi di colpa. Entrambi non riuscivano a vedere i loro disturbi.
Quando c’è un disagio bisogna posare lo sguardo, trovando la giusta angolazione per guardarlo, senza fare resistenza. Chiudere gli occhi e posarli sulla sofferenza in quanto tale, percependola come qualcosa che sì, ci appartiene, ma è anche nel passato, come per Domenico, o ha origine da altro rispetto a noi, come per Francesca. Questa visione può inizialmente farci soffrire di più, nel momento in cui smettiamo di scappare e aspettiamo che il dolore si liberi nella sua interezza. Ma poi arrivano l’accettazione, la comprensione e una nuova possibilità.
Se rinunciamo a riconoscere il disagio, ci convinciamo che la vita che stiamo vivendo è l’unica possibile e soccombiamo al dolore. La guarigione inizia quando ci fermiamo e posiamo lo sguardo su ciò che ci tormenta. Poi aspettiamo: una forza risanatrice scende in campo e ci guida, oltre il passato, fuori da relazioni tossiche, verso il nostro destino. Ogni disagio reca con sé un seme che vuole riportarci alla nostra unicità, a diventare la meraviglia che si nasconde in noi.
La via della gratitudine: incamminati verso la felicità
Domenico si è dato il permesso di tornare a stare sul pavimento accanto a sua madre, per ringraziarla, per salutarla, per riconoscere ciò che di lei vive ancora in lui. Ha ascoltato il suo dolore, lo ha accolto e integrato.
Francesca ha riscoperto sé stessa, indagando sul suo bisogno di avere accanto qualcuno per sentirsi intera e tornando a prendersi per mano, grata per ciò che è.
Sono entrambi in cammino verso la felicità, non quella dei fuochi d’artificio e delle favole, ma quella semplice, autentica, che soltanto loro possono realizzare. Si sono portati sulla via della gratitudine.
Quando riesci a guardare il dolore e lo ascolti, quando permetti all’anima di avviare il processo di guarigione, arriva il senso profondo della gratitudine a illuminare l’angolo buio nel quale ti sei costretto. La gratitudine è energia.
Ci predispone a percepire la vita nel suo fluire, con tutti i piccoli miracoli che l’universo mette in moto per permetterci di essere il meglio di ciò che possiamo, qui e ora. Essere grati vuol dire cogliere il senso delle cose che accadono per trasformarci, per permetterci di evolvere.
La gratitudine è una via potentissima verso la felicità, perché ci connette con il nostro cuore, ci apre all’amore per noi stessi. Non è semplicemente dire grazie o pensare che tutto possa essere bello e buono: è scegliere di non lasciarsi sopraffare dal negativo, ascoltare il disagio e integrarlo, rivolgere l’attenzione a sé stessi e aprire il cuore alla vita.
La gratitudine va praticata, giorno dopo giorno, con piccole azioni consapevoli:
- Puoi tenere un diario della gratitudine, scrivendo quotidianamente tre cose per cui ti senti grato
- Torna al presente, ritagliati piccoli momenti per immergerti nel qui e ora e trovare un motivo di gratitudine
- Guarda al passato in modo nuovo: ti ha dato la possibilità di crescere e diventare la meraviglia che sei chiamato a essere
- Onora te stesso, i tuoi difetti ti rendono unico, i tuoi talenti chiedono di essere coltivati.
La tua felicità dipende da te.
Questo articolo vuole essere un invito, un richiamo perché tu possa scegliere di vivere pienamente. Voglio concludere rivolgendo a te che leggi le parole della mamma di Domenico, che lui oggi ripete come un mantra di gratitudine:
“Sei pronto? Rischi di fare tardi!”
La VITA ti aspetta!