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Benedetta frustrazione

“Quando sei frustrato, fermati e pensa: questo è un momento che mi sta insegnando qualcosa di prezioso.”

Eckhart Tolle

Quando un piacere viene negato, ecco che compare la frustrazione che, in psicologia, viene definita come lo stato emotivo che sorge in conseguenza del mancato soddisfacimento di uno scopo, di un bisogno o di un desiderio.

La frustrazione è una componente indispensabile di qualsiasi processo di apprendimento e l’infanzia è il luogo privilegiato in cui si apprende: un bambino si struttura innanzi tutto in rapporto all’ambiente familiare.

Perché educare i figli a tollerare la frustrazione è importante? Perché riuscire a gestire questa emozione gli consente di sviluppare una sana autostima e una buona autonomia, che gli serviranno per affrontare le inevitabili sfide della vita.

Indice dell’articolo

Il valore della frustrazione

Quando un bambino nasce, attraversa uno stadio definito dalla psicoanalisi “narcisismo primario”: si percepisce come il centro del proprio universo e non ha consapevolezza del resto del mondo. Imparerà a prendere coscienza dell’ambiente che lo circonda grazie alle interazioni con la madre, soprattutto grazie ai limiti che lei incomincerà a porgli.

Da principio, ogni volta che piangerà, la mamma sarà pronta a dargli immediatamente il seno o il biberon, permettendogli di sperimentare il soddisfacimento del suo bisogno primario. Procedendo nella crescita, la madre dilaterà i tempi di risposta alla richiesta del figlio, rispondendo un po’ meno sollecitamente.

In questo modo il bambino imparerà a costruire nella sua testa l’immagine di ciò che desidera, in questo caso il latte, riuscendo a consolarsi momentaneamente e imparando a differire il soddisfacimento del bisogno. Tutto ciò contribuirà a sviluppare il suo apparato psichico: l’arco temporale tra l’affacciarsi del suo bisogno e la risposta a quest’ultimo lo porterà a immaginare il mondo e a creare un sistema di rappresentazioni.

Questo processo è indispensabile perché il bambino realizzi che esiste una realtà al di fuori di lui che, di volta in volta, lo soddisfa o lo frustra.È evidente, dunque, il valore della frustrazione: consente e instaura il desiderio, che è apertura almondo.

Il divario che il bambino percepisce tra il suo bisogno e la sua realizzazione gli insegnerà a governare i suoi bisogni e lo spingerà ad uscire da sé stesso per andare incontro all’altro.

Ovviamente l’esperienza frustrante non dovrà perdurare, altrimenti il neonato si scoraggerebbe al punto di chiudersi in sé stesso, senza essere più stimolato dalla ricerca della soddisfazione del suo bisogno.

Allo stesso modo, crescendo, il bambino dovrà sperimentare la frustrazione di piccoli fallimenti, dei NO, delle cadute e delle inevitabili difficoltà: soltanto in questo modo svilupperà un sano senso delle sue capacità, una solida autostima e l’abilità di inventare nuove strategie per riuscire nei suoi intenti.

Se accontentiamo continuamente e immediatamente i nostri figli, se non smettiamo di appagarli, li priviamo del desiderio che è la spinta alla crescita, il motore del miglioramento e della evoluzione.

E li rendiamo incapaci di affrontare le sfide che la vita gli porrà davanti, quotidianamente.

Tra soddisfacimento e frustrazione: il desiderio

La frustrazione è un’esperienza fondamentale, perché permette al bambino di comprendere la realtà e di imparare che non otterrà sempre tutto ciò che vuole.

Eppure nella società contemporanea facciamo fatica a considerare la frustrazione come una emozione dalla valenza positiva. In ambito educativo siamo passati dall’eccesso di divieti alla eccessiva permissività con una quasi totale assenza di divieti.

Diventa così impossibile insegnare ai bambini ad accettare la frustrazione, abituati come sono alla soddisfazione immediata e a non doversi confrontare con limiti chiari e fermi. I genitori di oggi, non volendo vedere i propri figli scontenti, cercano di evitare qualsiasi conflitto, lasciando spesso che sia il figlio a decidere.

Anziché dirgli, per esempio: “Non puoi mangiare un altro cioccolatino perché ti fanno male”, restando fermi su questo divieto, preferiscono guardare il bambino che lo mangia, nonostante tutto, per poi dirgli: “Se hai mal di pancia dopo non piangere”, mettendolo in una condizione di responsabilità di cui non percepisce le ovvie conseguenze.

In questo modo il conflitto, che potrebbe essere sano e funzionale, non è più tra il bambino e l’adulto che proibisce, ma tra sé e sé del bambino. Quando poniamo dei limiti ai nostri figli, il divieto apre le porte al conflitto sano, che alla lunga tranquillizza e che provoca una frustrazione strutturante, positiva.

Un bambino accontentato di continuo e che non elabora quel senso di frustrazione necessario a misurare i propri desideri e a relazionarsi con il mondo esterno, è molto probabile che da adulto sviluppi una patologia narcisistica.

Il narcisista, infatti, ha un continuo bisogno di rassicurazione esterna, una insicurezza di fondo che maschera con un sentimento di onnipotenza, un’intolleranza alla frustrazione e nessuna empatia per il mondo che lo circonda.

Come aiutare i figli a tollerare la frustrazione

Per aiutare i figli a tollerare la frustrazione è importante valorizzare la loro intelligenza emotiva. 

Per intelligenza emotiva si intende la capacità di creare un’armonia tra mente e cuore, di fare un uso intelligente dell’emozione, comprendendola e gestendola. 

John Gottman propone cinque fasi per l’allenamento emotivo di un figlio:

  • Diventare consapevole dell’emozione del bambino. È importante che ci sia ascolto attivo, che non si basa semplicemente sul verbale, ma che coglie i diversi segnali della comunicazione: il non verbale, il tono di voce, il timbro, in modo da comprendere quale emozione nostro figlio sta sperimentando ed entrare in una connessione empatica con lui. 
  • Riconoscere in quella emozione un’opportunità di intimità e di insegnamento. Le situazioni problematiche possono essere una grande opportunità affinché il bambino impari nuove cose, utilizzando la frustrazione come un motore che accende l’elaborazione di alternative.
  • Convalidare i sentimenti del bambino. Anziché dirgli di non fare capricci o non piangere, di non mettere il muso o di non arrabbiarsi, se abbiamo colto la sua frustrazione possiamo dirgli: “Capisco che sei frustrato e triste di non poter fare o avere la talcosa…”.
  • Aiutare il bambino a trovare le parole per definire l’emozione che sta provando. in questo modo si sentirà contenuto e tranquillizzato e imparerà a gestire meglio la frustrazione.
  • Porre dei limiti, mentre esplora le strategie per risolvere il problema in questione. Rispettando i loro tempi e senza sostituirsi a loro, dandogli la possibilità di sperimentarsi e di commettere errori all’interno dei limiti che avrete posto.

Ciò che, a mio parere, più d’ogni altra cosa aiuta un figlio a tollerare la frustrazione è sentire che un genitore ha fiducia in lui, nelle sue capacità, nelle abilità che svilupperà facendo fronte alla difficoltà.

Quando accontentiamo in tutto un bambino gli trasmettiamo l’idea che da solo non può farcela, finendo per minare la sua autostima.

Un genitore che permette a un figlio di sperimentare la frustrazione gli dona la certezza di essere capace, la possibilità di affrontare la vita con le proprie forze.


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