“L’aspetto delle cose varia secondo le emozioni; e così noi vediamo magia e bellezza in loro, ma, in realtà, magia e bellezza sono in noi.”
Khalil Gibran
L’etimologia della parola insegnare dice: “imprimere segni” e sottintende “nella mente”.
In realtà, il respiro di questa parola è molto più ampio e sono convinta che, oggi più che mai, l’etimo ci spinga nella direzione del cuore.
Cosa c’è di più vitale, oggi, dell’insegnare le emozioni?
Certo, le emozioni non si possono in-segnare nel senso stretto del termine, come qualcosa di totalmente nuovo ed estraneo alla nostra coscienza. Sono già dentro di noi, sono il nucleo pulsante del nostro essere. Eppure è come se avessimo imparato a staccarci dalla nostra anima, appiattendoci in una versione più simile ad un cartonato e molto lontana dal microcosmo di meraviglia che siamo chiamati ad essere.
Per riprendere contatto con la nostra parte profonda, per tornare a vivere pienamente, abbiamo il compito di imprimere segni nel nostro cuore: quei segni sono le emozioni che già ci abitano e che chiedono di essere viste, ascoltate, impresse con tutti i loro colori nella nostra vita.
Ritengo che noi adulti siamo chiamati a spingerci oltre: abbiamo il dovere di insegnare le emozioni ai ragazzi del nostro tempo.
Gli adolescenti oggi appaiono sempre più vulnerabili, sia da un punto di vista psicologico che sociale. Hanno bisogno di riconoscersi, di imparare a gestire le relazioni interpersonali, di trovare le risorse per affrontare gli stress quotidiani, per confrontarsi con la frustrazione, l’insuccesso, la solitudine che deriva dal cercare la propria unicità in un mondo che omologa e appiattisce. I ragazzi di oggi hanno, più che mai, bisogno di diventare emotivamente competenti.
Per insegnare le emozioni bisogna partire dalla consapevolezza.
La consapevolezza emotiva è la capacità di riconoscere ed etichettare le proprie emozioni e quelle degli altri, per poterle poi gestire in modo appropriato.
Abbiamo il dovere di insegnare ai nostri ragazzi come riconoscere e decodificare le proprie emozioni e quelle degli altri, di aiutarli a esprimere i propri vissuti emotivi, di renderli capaci di comprendere le cause che scatenano alcune emozioni per far fronte a ciò che provano.
Per farlo, abbiamo bisogno di imprimere il segno della consapevolezza emotiva prima di tutto nel nostro cuore.
Indice
L’alfabeto delle emozioni
Per imparare l’alfabeto delle emozioni bisogna partire dalle sette primarie, che sono gioia, tristezza, paura, rabbia, sorpresa, disgusto, disprezzo.
Esistono emozioni miste, cioè stati emotivi che sono una sommatoria di emozioni primarie, come la delusione che unisce la sorpresa alla tristezza, o la frustrazione che nasce dall’unione della tristezza e della abbia.
Ci sono inoltre le emozioni secondarie, come la vergogna e la colpa, che sono definite sociali perché derivano dall’interazione sociale e dal giudizio.
Il panorama degli stati emotivi comprende gli stati sensomotori, come il senso di vuoto o debolezza, di forza o pienezza.
L’emozione non è soltanto una risposta neurofisiologica istintiva, ma rivela come l’individuo si rapporta alla vita, riflette la complessa valutazione, e il bilanciamento corrispondente, tra i sistemi di sopravvivenza e il significato attribuito dal soggetto all’esperienza, valutata in termini di potenziale per esprimere o minacciare il Sé.
Tutte le emozioni sono utili e significative, diventano problematiche quando vengono represse o bloccate o quando si cristallizzano in uno stato costante e rigido.
Ciò che è fondamentale apprendere è che ogni emozione è determinata da un trigger, o stimolo specifico e ha, rispetto a questo, una funzione adattiva. Conoscere il trigger e la funzione adattiva di ogni emozione permette di capire meglio quello che si sta vivendo, in modo da navigare con una bussola sensibile nel vasto oceano del proprio vissuto.
Vediamo i trigger delle emozioni primarie:
- Tristezza: il trigger è la perdita di qualcosa di importante, che sia una perdita reale o immaginaria poco importa. Quando si sperimenta questa emozione si assiste ad un abbassamento dell’umore e a una notevole riduzione del livello di attività cognitiva e reattiva.
La sua funzione è di ottenere accudimento e protezione in una situazione in cui ci si sente impotenti: agisce in modo autoprotettivo focalizzando l’attenzione su sé stessi.
Cosa senti di stare perdendo? Cosa devi lasciar andare?
- Rabbia: il trigger in questo caso è un ostacolo che si frappone rispetto ai desideri o agli obiettivi. Il corpo comunica questa emozione con una attivazione del tono muscolare, un incremento dell’attività cardiaca con corrispondente aumento dell’adrenalina nel sangue.
La funzione della rabbia è quella di autoproteggersi per trovare le risorse in modo da superare l’ostacolo.
Chi o cosa senti che ti sta ostacolando?
- Sorpresa: il trigger è qualcosa che la persona non si aspetta nei suoi schemi o nelle sue previsioni, che provoca una sensazione di incertezza.
Si assiste a una decelerazione del ritmo cardiaco e a un aumento della respirazione.
La funzione è quella di preparare allo stimolo nuovo, attivando i processi attenzionali.
Che cosa ti ha colpito? In che modo?
- Disgusto: in questo caso il trigger è qualcosa che offende la sensibilità, provocando repulsione. La sensazione soggettiva è una profonda insoddisfazione e una grande avversione verso lo stimolo.
A livello corporeo i sintomi sono nausea e aumento della frequenza cardiaca, con una maggiore recettività della pelle.
La funzione del disgusto è quella di provocare il rifiuto di tutti gli stimoli che potrebbero causare intossicazione e, per estensione, di tutti gli stimoli sociali tossici o le esperienze ritenute tali.
Cosa offende la tua sensibilità?
- Paura: il trigger è qualcosa che si avverte come minaccioso e pericoloso. L’attivazione corporea è elevata e serve a incoraggiare l’evitamento e la fuga dallo stimolo: la frequenza cardiaca aumenta, accompagnata da una respirazione superficiale e irregolare.
La funzione della paura è legata alla sopravvivenza, facilitando l’apprendimento di risposte adattive.
Da chi o da cosa ti senti minacciato?
- Disprezzo: il trigger è l’azione immorale, inopportuna, indegna. Spesso questa emozione nasconde o copre la rabbia.
La sua funzione è autoproteggersi mantenendo il distacco e la superiorità.
Quale valore senti minacciato?
- Gioia: il trigger in questo caso è qualcosa che soddisfa i bisogni e procura piacere.
La sua funzione è incoraggiare l’azione e la relazione, la spinta a comportamenti sociali o evolutivi. A livello fisiologico si assiste al rilascio di endorfine e dopamina, con un aumento della frequenza cardiaca.
Cosa ti fa stare bene?
Le domande proposte possono guidare a scoprire quali sono i trigger che ci attivano per le diverse emozioni e possono aiutarci a comprendere meglio cosa provoca un determinato stato emotivo nei nostri figli, negli studenti, nei ragazzi che oggi hanno bisogno della nostra attenzione e del nostro supporto.
Lettera agli insegnanti
Credo che, oggi più che mai, il nostro compito di adulti sia quello di formare i nostri ragazzi alla competenza emotiva. Per aiutarli a sviluppare una buona intelligenza emotiva dobbiamo, prima di tutto, prestare attenzione alla nostra vita interiore, per poterli guidare poi a diventare consapevoli della loro meravigliosa interiorità.
Voglio concludere questo articolo con una lettera agli insegnanti, perché, accanto ai genitori, sono i custodi dei sogni e dei talenti dei ragazzi. Perché possano in-segnare attraverso e dentro le emozioni, tracciando un sentiero di luce nei cuori degli adolescenti del nostro tempo.
Cari insegnanti,
in questo tempo frenetico in cui tutto è talmente veloce da non avere certezza, né quasi sostanza, voglio scrivere a voi.
insegnare è uno di quei mestieri che non si “fa”, ma che si “è”.
È un’avventura, una missione che va al di là del programma da ultimare, una responsabilità che può (e deve) essere vissuta come dono.
Per questo oggi mi rivolgo a voi.
Perché mentre trasmettete a mio figlio le nozioni che dovrà imparare, state imprimendo segni indelebili nel suo cuore.
Voglio chiedervi di trasferirgli il contenuto del programma che avete l’obbligo di completare, ma, soprattutto, che l’impegno non nasce dal semplice “dovere”, ma dalla passione e dal rispetto per la vita, propria e altrui.
Voglio chiedervi di aiutarlo a scoprire i suoi talenti, pungolandolo, lasciando che sbagli e che affronti i suoi errori, ma, principalmente, sostenendolo, aiutandolo a cogliere il peso del presente, che si riempie di senso in vista del suo domani.
Voglio chiedervi di insegnargli a usare il cuore oltre che la testa: perché per lui sarà importante sapere di filosofia e scienze, utilizzare le lingue in modo corretto, ma se non saprà capire sé stesso e orientarsi nel suo mondo interiore, a nulla varrà il resto.
E se un giorno non sarà preparato perché triste o confuso o stanco, oltre al 2 sul registro, io voglio chiedervi di ascoltarlo, perché possiate prima educarlo a tirar fuori il suo mondo, per imprimervi poi il segno del sapere.
Voglio chiedervi di insegnargli ad avere fiducia: non nella certezza dei conti matematici o nei confini stabiliti sulla carta, ma la fiducia nell’incerto che sprona alla conoscenza, nell’errore che permette il cambiamento, nelle sue idee, per quanto strane possano sembrare, e proprio perché diverse da quelle degli altri.
Per questo, cari insegnanti,
voglio chiedervi di avere sempre in mente i ragazzi che siete stati, perché possiate trasmettere a mio figlio l’importanza dei libri, ma anche la fecondità della noia; la sacralità dell’impegno, ma anche la bellezza del tempo libero e la leggerezza dello svago condiviso.
E, soprattutto, voglio chiedervi di insegnargli a essere sé stesso e ad amarsi sempre, accettando le sconfitte e rialzandosi ogni volta, per diventare il meglio che può, senza accontentarsi mai.
Sono convinta che, mentre voi imprimete segni nel suo cuore, lui imprimerà il suo nome nei vostri e gli anni condivisi saranno un dono reciproco, per sempre.
Margherita Roncone