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La trappola della famiglia perfetta

“Famiglie: fili che legano e diventano legàmi, nastri invisibili che non imprigionano solo se leggeri e sottili, intrecciati per amore, nell’amore. Non esistono famiglie perfette. Esistono storie che si chiamano famiglie.”

Margherita Roncone

Sono cresciuta con le immagini di alcuni spot pubblicitari che rappresentavano l’idea della famiglia perfetta: sorrisi genuini, scambi affettuosi e teneri, momenti di condivisione sereni, in cui ognuno aveva il suo posto, il suo ruolo preciso. Famiglie felici. Ho nutrito i miei sogni con quelle immagini, trasformando quegli spot nel mio progetto personale.

La felicità e l’amore possono diventare nozioni assai ingombranti. Se costruiamo il nostro modello di relazione e, quindi di famiglia, sulle fondamenta di un amore totalizzante, che non può subire oscillazioni, per garantirci una felicità immutabile, siamo destinati a veder fallire il nostro sogno. 

L’amore è un sentimento complesso, mai lineare. Si può amare male o troppo. Se non è consapevole, inquadrato, l’amore può diventare divoratore, fusionale. Può far soffrire e, quando il disagio non è manifesto, può portare una serie di sintomi, all’interno del nucleo familiare, che chiedono di essere ascoltati. È necessario uscire dalla trappola della famiglia perfetta, portarsi fuori dai set pubblicitari, per calare la famiglia nella quotidianità e vivere relazioni autentiche. 

La famiglia moderna è chiamata a evolversi: rinunciare al mito della felicità preconfezionata per fare spazio a momenti di vita vera, consentendo a tutte le emozioni di circolare all’interno della famiglia, per accoglierle, elaborarle e gestirle; spogliare l’amore dalle aspettative e da tutte le forme di idealizzazione, per incarnarlo nelle diverse individualità che compongono il nucleo familiare.

Indice dell’articolo

Figli perfetti

Ognuno ha della perfezione la sua idea personale, ma molti concordano sul fatto che il figlio perfetto è quello che non pone nessun problema, che ha un carattere “facile”, che si mostra educato, che ha buoni risultati scolastici. Dimenticando così che ogni figlio è un essere che si sta sviluppando e che, per crescere, deve attraversare periodi più o meno armoniosi, fasi di conflitto con sé stesso e con gli altri, progressi e regressioni, momenti di stasi e slanci improvvisi. 

Spesso, nel corso di una prima consulenza, ascolto i genitori che descrivono il proprio figlio, alla sua presenza, con frasi come: “E’ capriccioso”, “E’ aggressivo”, “E’ insopportabile” “E’ incontrollabile”, definendo così un ruolo al quale il figlio non può non conformarsi, sentendo di dover aderire all’immagine che hanno creato di lui, per lui. Altre volte le definizioni sono rese in positivo: “E’ dolcissimo”, “E’ troppo gentile, sensibile e altruista”, “E’ bravissimo in tutto”, ma queste frasi, che diventano etichette sulla pelle del figlio, gli vietano ogni errore, gli rendono impossibile esternare qualsiasi moto di aggressività o una qualunque emozione negativa. 

Quando un figlio viene rinchiuso nei recinti strettissimi dell’identità che hanno creato per lui, non può essere autenticamente sé stesso, diventa colui che è chiamato a valorizzare i genitori o a riparare le ferite infantili che non hanno elaborato; colui che permette loro di esistere per realizzare i loro sogni rimasti in sospeso. Non ha lo statuto di una persona che possa sussistere al di fuori dell’immagine che gli è stata affibbiata, se non nella misura in cui pretendiamo che si avvicini alla perfezione.

Un giorno, tempo fa, Mirella, mamma di tre figli, è venuta in consulenza per il suo primogenito, Andrea, un ragazzo di 14 anni che ha definito brillante, educato e sensibile e che, una mattina, aveva reagito al rimprovero di un insegnante minacciandolo con un taglierino.

Mirella era estremamente sorpresa dall’atteggiamento del figlio, ma ciò che la turbava enormemente era l’idea che gli altri si sarebbero fatti di lui a partire da quel momento perché, a suo dire, Andrea era sempre stato un ragazzo modello. 

Nel corso delle consulenze con questa famiglia è emerso che Giovanni, il papà del ragazzo, era spesso assente e aveva delegato l’educazione dei figli totalmente nelle mani di Mirella. Lei, d’altro canto, aveva sempre desiderato diventare mamma e aveva rinunciato al lavoro per dedicarvisi a tempo pieno. L’immagine che questa donna aveva della famiglia era quella di un contenitore in cui lei organizzava e gestiva con impegno e amore ogni aspetto della quotidianità, dedicando tutta sé stessa all’accudimento dei figli e, per questo, si aspettava di essere ricambiata con la perfezione da parte loro, lasciando fuori dalla porta ogni conflitto, ogni disaccordo e ogni possibile problema.

L’atto di aggressività di Andrea era un tentativo di rompere il legame con i genitori, nello specifico con sua madre, che lo costringeva a uniformarsi a un mito nel quale non si riconosceva. Per sfuggire ad anni di pretese materne ha dovuto fare ricorso a un comportamento violento, estremo. È stato necessario lavorare sulle aspettative e l’ideale di perfezione di Mirella, così come sul bisogno di Andrea di avviare in modo funzionale e positivo quel sano distacco che gli avrebbe permesso di formare la propria autonoma identità. 

Un amore sano e vero vuole la felicità dell’altro: un genitore che ama non impone il proprio ideale al figlio, ma lo accompagna a esprimere sé stesso e a seguire la propria felicità.

Genitori perfetti

Il fantasma del figlio perfetto ci costringe a essere a nostra volta genitori perfetti. In una società in cui tutto si misura sull’ideale di perfezione, ci costringiamo in ruoli narcisistici e ambivalenti. Perché, se da un lato vogliamo apparire impeccabili, dall’altro abbiamo la sensazione di non essere mai abbastanza, di non comportarci nel modo giusto, alimentando un senso di colpa che costringe l’altro a sentirsi in debito.

Una madre che pretende la perfezione dal proprio figlio e che confessa di sentirsi mediocre davanti ai fallimenti di quest’ultimo, lo pone nella posizione di doverla rassicurare, sentendosi in colpa a sua volta. La madre, così, non agisce sulla base dei suoi sentimenti, ma secondo l’immagine di perfetto genitore che si è costruita nella testa.

Tutte le madri portano in sé un’immagine di madre ideale, per inventarsi la madre che avrebbero voluto avere e sanare la propria infanzia, per dimostrare a sé stesse di essere di più, per assomigliare ai modelli imposti dalla società, in cui una donna non può definirsi completa se non è anche un’ottima mamma.

Ma, per usare le parole di Winnicott, una madre è chiamata a essere “sufficientemente buona”, premurosa e tenera, ma non perfetta, perché proprio grazie alle sue pecche e ai suoi difetti, il bambino può rendersi autonomo. La madre che cerca di essere perfetta è una figura ingombrante e tossica, perché non accettando di entrare in conflitto con il proprio figlio, non gli consente di separarsi da lei e soprattutto non gli permette di rendersi conto che il rapporto può sopravvivere ai momenti negativi.

Quello che guida un genitore che cerca di essere perfetto è la paura di perdere l’amore del figlio se si mostrasse fallace, il bisogno di convalidare l’immagine di sé stesso per sentirsi amato. 

Ho sempre desiderato diventare madre: a 27 anni lo sono diventata per la prima volta, a 29 per la seconda. Ricordo quel periodo come un guazzabuglio di sentimenti contrastanti. Ero felice, ma anche costantemente in ansia, mi sentivo totalmente assorbita da loro e terribilmente sola. Quello che mi aspettavo di vivere così naturalmente e che immaginavo dovesse rasentare la perfezione, è diventato un compito difficile, mi spingevo al limite delle mie forze, con un’ora di sonno alle spalle (quando ero fortunata) e la sensazione di fallire continuamente.

Quando i miei figli piangevano mi sentivo inadeguata e incapace di cogliere i loro bisogni, cercavo conforto nel mio partner, ma lui continuava la sua vita di sempre, con ritmi lavorativi che lo portavano tutto il giorno fuori di casa e questo aumentava la mia sensazione di isolamento. È stato allora che ho ribaltato il mio concetto di famiglia.

Dalla perfezione sono passata all’accettazione delle emozioni che stavo sperimentando e dal bisogno di essere ineccepibile mi sono concessa qualche pianto liberatorio e la possibilità di essere me stessa. Ho capito che stavo cercando un contenitore da riempire con tutto ciò che mi era mancato nell’infanzia, finendo per soffocare nelle mie stesse paure.

Da allora sono passati anni e ciò che voglio è essere una madre sufficientemente buona, in modo da amare in modo sano i miei figli e permettergli di diventare sé stessi.

Genitori e figli: esseri in divenire

Quando ci spogliamo dell’ideale di perfezione possiamo riscoprire chi siamo. Ma, ancora più importante, possiamo capire cosa diventiamo INSIEME. Una famiglia è una palestra di vita, uno spazio in cui, attraverso la relazione autentica, gli individui crescono, maturano, si evolvono.  

In che modo facilitare questo processo?

Occorre ribadire che non esiste una soluzione unica e ideale per tutti. La vita di ogni famiglia è legata a un sistema di credenze, di valori e ogni famiglia ha i suoi. La vita non si impara in un manuale di comportamento e le relazioni umane non sono paragonabili alle ricette di cucina. Però possiamo avere degli indicatori stradali, alcuni spunti di riflessione che possono guidarci nella scelta consapevole e più giusta per la nostra famiglia.

  • Un genitore deve prima di tutto conoscere sé stesso. Se non hai un’idea di chi sei, difficilmente potrai cogliere l’unicità di tuo figlio.
  • Domandati quali sono i valori più importanti per te, prima singolarmente e poi come coppia, in modo da viverli con coerenza e trasmetterli.
  • Accettati. Le zone d’ombra, le mancanze, i difetti: accoglierli ti permetterà di essere autentico; mostrarli permetterà a tuo figlio di fare altrettanto, per accettarsi a sua volta. 
  • L’amore, per essere sano, ha bisogno di direzione e responsabilità.
  • Applica la reciprocità consapevole: siate sempre disposti a imparare l’uno dall’altro e a evolvervi grazie a questa interazione reciproca.
  • Coltiva il dialogo autentico, nel quale ognuno prende l’altro in seria considerazione e gli presta ascolto.
  • Mettiti in gioco, con pari dignità: ogni persona, che sia genitore o figlio, ha il bisogno di essere visto, ascoltato e preso sul serio. 

Le famiglie si evolvono quando i loro componenti imparano l’uno dall’altro, scegliendo di coltivare una semplice felicità a partire da sé stessi, con rispetto per l’unicità di ogni persona al suo interno e nella direzione dei valori in comune e dell’amore vero e sano che le unisce.


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